Iva più cara per gasolio e bevande, carrello spesa è sempre più leggero
L’AUMENTO DELL’IVA potrebbe avere forti ripercussioni sui consumi alimentari proprio nel momento in cui il settore è uno di quelli che traina il nostro export e che contribuisce a rendere i dati della crisi meno catastrofici. Lo stesso vale per il ventilato aumento dei carburanti, in un Paese dove le merci viaggiano ancora per l’88 per cento su strada.
Preoccupate, in primo luogo, le associazioni di categoria. La Coldiretti, in riferimento ai dati Istat sulla fiducia delle imprese diffusi a settembre, sottolinea che non spingono certo all’ottimismo le vendite sul mercato interno che al dettaglio sono scese a luglio al minimo dal 2001. L’aumento paventato potrebbe deprimere ancora di più i consumi interni.
“Segnali positivi per le imprese – conclude la Coldiretti – vengono invece soprattutto dalla crescita delle esportazioni che nell’agroalimentare raggiungeranno il record storico di 34 miliardi nel 2013 se sarà mantenuto il trend di aumento del 7 per cento”.
Per il presidente della Cia, Giuseppe Politi, “nello scenario economico attuale non è pensabile alzare l’Iva di un punto percentuale, si scaricherebbe tutta su famiglie e imprese. E’ necessario evitare in tutti i modi l’aumento dell’imposta. Perché nello scenario economico attuale, con i consumi stimati in calo del 2,2 per cento nella media del 2013, l’innalzamento di un punto percentuale dell’Iva avrebbe un ulteriore effetto depressivo che si scaricherebbe tutto su famiglie e imprese”.
“Il passaggio dell’Iva dal 21 al 22 per cento, se è vero che l’aumento avrebbe un impatto diretto piuttosto marginale sui consumi per la tavola, riguardando solo il 5 per cento del paniere, è altrettanto vero che avrebbe conseguenze indirette drammatiche”.
Inoltre, l’aumento dei carburanti, con l’incremento delle spese di trasporto, andrà ovviamente a ‘pesare’ sui listini al supermercato. Spingendoli in alto. In più “bisogna mettere in conto gli effetti su vino e spumanti, caffè, birra, bevande gassate e succhi di frutta, a cui invece si applica l’aumento dell’Iva, e per i quali le famiglie dovranno ‘sborsare’ nel complesso tra i 25 e i 30 milioni di euro in più. Il governo deve capire che non è questa la soluzione. D’altro canto, non c’è alcuna possibilità di ripresa economica attuando misure che abbattono ancora di più i consumi domestici”.
Per ora, anche se la decisione è slittata in Consiglio dei ministri, per il clima di scontro sul caso Berlusconi, l’aumento dell’aliquota Iva colpirebbe dai succhi di frutta al vino con un aumento dei prezzi delle bevande più diffuse tra grandi e piccini. “Se la maggioranza dei prodotti di largo consumo come frutta, verdura, carne, latte e pasta sono esclusi dai rincari, l’innalzamento dell’aliquota – sottolinea la Coldiretti in una nota – si sentirà soprattutto nei bicchieri degli italiani: dalle bevande gassate ai superalcolici, dai spumanti alla birra, dai succhi di frutta al vino, fino all’acqua minerale. A preoccupare è soprattutto l’effetto sui consumi per bevande come il vino che deve affrontare uno storico calo dei consumi in Italia pari al 7,2 per cento rispetto allo scorso anno, nel primo semestre del 2013. L’aumento dell’ imposta sul valore aggiunto rischia di dare il colpo di grazia agli acquisti di vino sul mercato nazionale che sono scesi al minimo storico dall’Unità d’Italia con appena 22,6 milioni di ettolitri, rispetto ai 29 milioni di ettolitri bevuti negli Stati Uniti e ai 30,3 milioni di ettolitri della Francia nel 2012.
Iva e aumento del gasolio darebbero quindi un’ulteriore botta a consumi interni già avemente depressi. Si stima che un pasto percorra in media quasi 2000 chilometri prima di giungere sulle tavole. “Il rischio – sostiene la Coldiretti – è quello di deprimere ulteriormente i consumi in una situazione in cui le famiglie italiane hanno tagliato addirittura del 4% la spesa alimentare nei primi 6 mesi dell’anno”.
“Soltanto per il capitolo “cibo e bevande” – precisa ancora la Cia – il rialzo dell’Iva si potrebbe tradurre, a fine anno, in un calo aggiuntivo dell’1,5 per cento sui consumi alimentari, già sottoterra. Senza contare le conseguenze sugli esercizi commerciali, con le vendite nei supermercati e nei negozi di quartiere crollate rispettivamente del 2 per cento e del 4,1 per cento nel primo semestre dell’anno e oltre 25 mila piccole imprese a rischio chiusura”.